Un libro per i tipi di Edizioni del Rosone, che racconta e affronta un’esperienza difficile e comune: accettare e amare un figlio nato con disabilità. Nella Green Cave domenica 5 dicembre 2021, alle ore 18
Come amare questo amore se il mio cuore non sa più amare?
Come amare questo figlio nonostante sia diverso?
Dov’è finita la naturalezza dell’amore materno quando ho partorito la differenza?
Mi chiamo Patrizia e questa è la mia storia. Si chiama Vincenzo e questa è la sua storia. C’è la storia del nostro amore in questo libro, una storia vivente, un racconto viscerale che erode e indaga dentro in devota solitudine per tentare di venire alla luce e riuscire a salvarsi, riuscire a salvarci.
Vincenzo è mio figlio ed è figlio dell’impensabile, dell’impossibile, dell’indicibile. Vincenzo è l’attesa inattesa, il figlio che non mi aspettavo, che mi ha scioccata, che mi ha sorpresa e poi sospesa dal mondo in cui abitavo.
Aspettare un figlio, partorire un figlio, offrirgli la nascita è una delle esperienze più straordinarie che una donna possa compiere. È un po’ come rinascere a nuova vita perché un figlio cambia il mondo, cambia il modo di vedere il mondo, ne cambia il senso, ne modifica il peso, ne trasforma il significato. E tutto questo accadeva soprattutto a me mentre davo alla luce il mio Vincenzo, un bambino nato con un cromosoma in più stampato all’infinito nelle profondità del suo corpo, nell’invisibilità dei suoi geni, ma, naturalmente visibile agli occhi degli altri.
C’ho messo tempo e, forse, tempo ancora mi serve per vedere bene, per guardare meglio, per andare oltre. In questi tre anni dalla sua nascita ho capito che la sua disabilità rimandava alla mia. Ero io tra i due ad essere disabile, ad essere mancante, ad essere presenza assente, ad essere vacante, insofferente, insufficiente, un animale morente. La sua disabilità rifletteva la mia accentuandone i difetti, lo squallore, il puzzo insopportabile di un’ignoranza sfacciata che faceva a pugni col desiderio d’amore che mio figlio suggeriva per il solo fatto di esistere e di esistere proprio così e non altrimenti.
Se ho scritto è perché ero in pensiero, in pensiero per mio figlio, per la sua felicità; ero in pensiero per me, per la mia felicità.
È stato complicato per me dedicarmi a questa storia, a questa nostra atipica storia d’amore madre-figlio. Non perché non ne avessi il tempo (non dormo perciò la notte scrivo e se non scrivo leggo), e non perché non ne sentissi l’urgenza, anzi. Estrarre dalle viscere la propria esperienza, darle voce, respiro e poi scrittura è un lavorio molto difficile perché si tratta di sondare l’insondabile, raggiungere l’irraggiungibile, toccare il fondo, tremare, annegare per poi trovare il coraggio di resistere, esistere, restare.
Per certi versi è stato difficoltoso raccontarmi anche perché noi donne dobbiamo ogni giorno districarci o annidarci in infinite questioni e attività di vita quotidiana niente affatto scontate o proprio perché scontate ce ne assumiamo la responsabilità in maniera immediata e senza remore. Nel frattempo, nel da farsi giornaliero, mi accorgevo di una specie di spinta, di slancio, di guizzo interiore che nel mentre mi si dava, richiedeva, di necessità, la sua esistenza attraverso i miei pensieri pensati, i miei pensieri impugnati e poi scritti. Si rendeva necessario uno scavo interiore, un viaggio solitario, dall’andamento a spirale, dai tempi lunghissimi. Fu necessario per me attingere l’acqua della salvezza presso una nuova fonte di conoscenza perché l’interno, la profondità, l’interiorità, l’inconscio sono la sede dei sentimenti. Tutti sappiamo che il sentire non è una facoltà umana come le altre; il sentire accade e basta, sconvolge e capovolge, dissesta e arresta, toglie il respiro e accelera i battiti. Il sentire ci fa capire quanto siamo vivi. Il sentire ci richiama, ci scuote, ci interpella nell’ordine dell’esistenza e dell’essenza.
Crescere un figlio così, quasi del tutto da sola; tenere in piedi un matrimonio che scricchiola; reggere il colpo di questa nascita, attutirne i colpi; assumersi innocenti colpe per non essere capace di risolvere l’enigma vivente che mio figlio mostra di essere; mantenere i nervi saldi nell’anoressia mentale e corporale; mantenersi in vita, decidere di restare a galla per non affogare; scegliere di ricominciare, di tornare in vita, di rinascere per non lasciarsi morire. Tutto questo racchiude questo racconto.
Tra tante notti insonni, infinite docce (per levarmi di dosso l’olezzo dell’ignoranza nella quale ero annegata!), moltissimo caffè buttato giù come se fosse acqua, ho iniziato ad imbastire i pensieri, a dargli una certa foggia, a restituirgli un certo ricamo, a seguirne i fili intrecciati per confezionare, alla fine, quest’abito vivente, la storia di una nascita, quella di mio figlio, la storia di una rinascita, la mia come di una nuova donna.
Ho letto tutti i libri in circolazione in Italia scritti da genitori diversi. Lo ammetto, cercavo delle risposte ai miei “perché?”. Avevo fame di sapere, avevo voglia di conoscere le verità, la verità su mio figlio. Ho trovato tante risposte (alcune le ho sentite molto vicine a me), risposte altre però, non le mie. Ecco perché ho deciso di scrivere, perché la verità sulla sindrome di Down (ma io credo su ogni questione che ci tocca e che infiamma) non è mai una sola.
Mi chiamo Patrizia Impagnatiello, ho 35 anni, vivo a Manfredonia, una piccola cittadina in provincia di Foggia. Mi sono laureata in Scienze filosofiche all’Università degli studi di Bari; sono un’insegnante supplente di Filosofia e Storia con una passione smodata per la lettura, soprattutto classici, narrativa contemporanea e poesia. Nel 2016, inaspettatamente, do alla luce un bambino con la sindrome di Down. Nel 2019 passo il concorso per frequentare il corso di specializzazione Tfa sostegno presso l’Università degli studi Foggia e diventare insegnante di sostegno. Partorire la differenza. Storia di una nascita e di una rinascita è il mio primo libro.