Il nostro non è un augurio, ma un invito all’azione, per rendere il 2021 migliore del 2020, da protagonisti e senza fatalismo
Gli auguri si sprecano e spesso, pur essendo sinceri e in buona fede, non ci spronano quasi mai ad essere protagonisti del cambiamento. Si limitano a proiettare nel futuro lo stesso fatalismo con il quale abbiamo subito “la sorte” nell’anno passato. E’ per questo che abbiamo evitato di unirci al coro del solito “augurarsi” e “augurare” che il nuovo anno sia migliore del primo, per sottolineare che la qualità del futuro dipende da noi, dalle nostre scelte, dalle nostre azioni, dalla volontà di darci un orizzonte di sfide e dalla capacità di trasformare quelle sfide individuali in azioni collettive, le uniche capaci a rimettere in moto le comunità.
Per andare dove?
La prova della pandemia ci ha insegnato molte cose, che comprendiamo solo se le sappiamo e, soprattutto, vogliamo leggere.
Ci ha fatto capire che una società senza reti di solidarietà non va da nessuna parte, che il “valore pubblico” dei servizi e delle scelte è una priorità e non un optional. Che in virtù di quel valore pubblico occorre certamente sacrificare qualcosa di se stessi, ma che questo costo poi assicura un ritorno. L’abbiamo compreso, per esempio, quando sì è capito che senza sanità pubblica la pandemia non sarebbe stata affrontabile, nemmeno in quei Paesi, che non a caso stanno pagando il prezzo più alto, che hanno fatto della sanità privata un totem intoccabile. Così come è stato chiaro che per affrontare la crisi economica era essenziale l’intervento economico dello Stato. L’abbiamo capito anche quando abbiamo scoperto la maggiore vulnerabilità delle società senza comunità, nelle quali la solitudine diventa maggiore rischio di vulnerabilità e spesso anche di letalità.
Ci ha insegnato che l’incertezza non è solo un incidente di percorso, ma una condizione umana, alla quale dobbiamo prepararci sia come comunità che come individui. Quanti programmi, economici, sociali, culturali e personali sono cambiati in questi mesi, dimostrandoci che ogni modello organizzato può in qualsiasi momento essere messo in discussione? Senza che molti avessero già pronto un piano b.
Ci ha insegnato che non si può vivere di passato, ma che bisogna saper immaginare e vivere nel quotidiano sia il presente che il futuro, non posticipando il momento della scelta per il cambiamento. Se guardiamo con attenzione a quello che ci è accaduto, ci rendiamo conto che le fragilità più grandi si sono registrate dove meno era vivo il fermento dell’innovazione: la prima economia che è andata in crisi è stata quella del petrolio, distrutta dalla riduzione drastica della mobilità pubblica e privata; l’unico commercio che non solo non si è fermato, ma anzi ha visto incrementare il suo giro d’affari è quello che ha investito sul futuro fatto di distanza (il commercio online e l’asporto) e della sempreverde prossimità (il negozio sotto casa), entrambi, alla pari, strategici per assicurare la sopravvivenza di un settore economico e capaci di soddisfare i bisogni primari di chi era costretto a casa, ma nel contempo entrambi capaci di futuro.
Ci ha insegnato che l’incertezza si affronta con la resilienza e la flessibilità, entrambe figlie di due genitori importanti: l’apertura mentale e la cultura. Solo chi è aperto, curioso e colto è disposto a cambiare in poco tempo e ad adattarsi a scenari sempre nuovi: investire sulla scuola, la formazione e la cultura significa aprire le menti e nel contempo costruire quella “flessibilità” che i conservatori vogliono sia sinonima della precarietà.
I precari sono le vere vittime del Covid, mentre i flessibili ce la fanno. Abbiamo imparato pertanto che il valore non è la precarietà, che ha ridotto le possibilità di sopravvivenza e di benessere, ma la flessibilità che è predisposizione al cambiamento e all’adattamento, se si accompagna ai diritti: il diritto alla vita, alla sua qualità e alla libertà di ognuno, che il novantanovenne Edgar Morin, nel suo “Cambiamo strada. Le 15 lezioni del coronavirus” ha chiamato diritto a “vivere poeticamente” la propria vita.
Poi ci ha insegnato che ci sono cose più importanti e cose meno importanti.
Sono importanti i legami, il che vuol dire che gli affetti, gli amici e le comunità contano più dei nemici. Sono importanti i servizi e gli spazi pubblici, come la sanità e la scuola, senza i quali la società si fermerebbe. La cultura è più importante dell’ignoranza, perché la gente senza cultura nega i problemi e finisce per subirli senza affrontarli, come il fiorire dei negazionismi ci dimostra. L’innovazione è più importante della conservazione: se la “green society” fosse già realtà, piuttosto che un orizzonte futuro a scadenza indefinita, la società e il pianeta sarebbero più sani, più ricchi e resilienti. La giustizia è più importante delle disuguaglianze: perché 100 super ricchi non salveranno il pianeta, a meno che non saranno costretti, finalmente, a pagare le tasse per assicurare un futuro allo spazio e ai servizi pubblici. La fiducia è più importante della paura: entrambe possono essere manipolate e possono annebbiare la mente, ma mentre la paura ti toglie ogni speranza di riuscire, la fiducia ti apre alle possibilità.
Il nostro augurio è che ognuno di noi si metta a lavorare sulle cose importanti, lasciandosi indietro quello che non serve o che abbiamo capito essere dannoso, per essere in prima persona protagonista di un cambiamento.
Per noi, nella nostra Green Cave di FestambienteSud, è chiaro l’orizzonte di lavoro per il 2021: saranno molte le novità sulle quali stiamo lavorando, per essere più forti, più aperti e ancora più presenti, per costruire più cultura, più green society, più diritti e giustizia, più innovazione, più prossimità, più etica e valore sociale nella distanza.
Continuiamo a farlo insieme per poter dire davvero: buon 2021!
Legambiente FestambienteSud